Dove c’é amore, c’é una capanna…

Le parole a volte perdono il loro significato quando è il cuore a parlare, a darti quelle emozioni che aspetti da anni.
Quel sogno nel cassetto che non è mai stato dimenticato.
Con la gioia nel cuore vi comunico che da giugno 2020 sarò la nuova capannara
(“o mei la capanata”) della Capanna Scaletta di proprietà della SAT Lucomagno nella stupenda cornice della Greina.
Con me i miei figli, la mia famiglia, coloro che credono in me.

Vi accoglieremo a braccia aperte per gustare i tipici piatti nostrani cucinati con amore e con i prodotti della valle, mantenendone la tradizione e la valorizzazione del territorio e perché no…anche a sorseggiare un buon bicchiere di vino sotto un mare di stelle. La voglia di lavorare in capanna nasce dal grande attaccamento alla valle, al grande amore per la montagna e alla voglia di stare con la gente, o meglio con i viandanti condividendo momenti speciali vissuti in alta quota.

Dove c’è amore, c’è una capanna …
Perché io la capanna voglio viverla, …. Anche con voi!!!
Ilaria

Monte Bianco, agosto 2018

di Danny Caron

Il 3 agosto, durante una calda giornata, bazzicavo con Cesare tra la Val Scaradra e la Valle di Garzora. Più precisamente eravamo di ritorno dal Plattenberg, Cima di 3’041 metri situata tra il Torrone di Garzora e il Pizzo Cassinello. Partiti da Garzott verso le 06:30 ci dirigiamo verso il rifugio Scaradra a quota 2’173 metri. Da qui saliamo sul pendio, posto a nord del rifugio, fino a percorrere un canalino erboso che ci porta all’interno dell’anfiteatro creatosi tra il Plattenberg e il Vernokhörner a circa 2’600 metri. Risaliamo in direzione sud-est su terreno detritico rimanendo sotto la cresta a ovest della cima. Dopo alcuni tratti ghiacciati dove dobbiamo fare uso delle mani raggiungiamo la bocchetta posta a 2’982 metri. Da qui, in breve tempo, raggiungiamo la Cima. Dopo aver assaporato il momento intraprendiamo la via del ritorno scendendo a est del Torno quando, all’altezza di Garzora, mi chiama Ronnie. Dopo le chiacchiere di rito mi proporne una salita con lui e suo padre Giorgio.
Si tratta del Monte Bianco salendo per la via normale Italiana. Dubbioso in un primo momento, nei giorni successivi decido di confermare la mia presenza, d’altronde è uno dei sogni nel cassetto. Il programma prevede partenza in macchina il 15 agosto con arrivo ed avvicinamento al rifugio Gonnella, salita sulla cima il 16 e discesa dalla capanna nella giornata del 17.
Io e Ronnie non ci conosciamo molto al di fuori dell’arrampicata o il bouldering, passioni che ci accomunano. Così, al fine di vedere se l’alchimia funziona l’11 agosto percorriamo i 10-3000 della Valle Malvaglia insieme…ma questa è un’altra storia.

Finalmente arriva ferragosto. Alle 04:45 sono a Biasca in attesa degli altri due: Ronnie e suo padre Giorgio. Il viaggio verso Courmayeur risulta velocissimo! Circa 300km in 3 ore. Beviamo un veloce caffè in paese e ci dirigiamo verso il parcheggio nella Val Veny. Raggiunta la sbarra lasciamo l’auto e ci incamminiamo lungo la strada colma di turisti che si dirigono verso la Cabane du Combal. Giunti in zona rifugio imbocchiamo il sentiero (roccioso nei primi quattro km) che conduce sul lunghissimo Glacier du Miage in direzione del rifugio Gonnella.

Il percorso, ad eccezione della prima parte sulla morena, non è molto definito e dobbiamo scavalcare buchi, crepacci e rocce smosse. Dopo circa 3 ore raggiungiamo la parte alta del ghiacciaio dove scendono le diramazioni del Glacier du Mont Blanc, del Glacier du Dome e del Glacier de Bonassay a quota 2’500 metri. All’improvviso un grande boato ci fa saltare per aria. Una frana scende da un canalino a circa duecento metri da noi arrivando a cinquanta metri dalla traccia di salita. Nella nebbia formatasi dal crollo procediamo mantenendo la destra del ghiacciaio fino all’imbocco del ripido sentiero che porta al rifugio. La successiva tratta concentra tutto il dislivello per arrivare ai 3’072 metri del rifugio. Il percorso a tratti è esposto, ma attrezzato con scalette e corde fisse.

Dopo cinque ore abbondanti arriviamo al rifugio. Ci aspetta un po’ di riposo, cena alle 18:30 e colazione a mezzanotte. L’obiettivo comune è quello di dormire il più possibile.
Durante la cena eravamo al tavolo con due ragazzi di Roma, tornati quel giorno dalla cima, ed un tipo del Trentino. Dopo aver chiesto un po’ di informazioni ai due risultiamo un po’ scettici sul giorno seguente in quanto, a detta loro, l’ascensione risultava piuttosto complicata soprattutto nella parte di discesa a causa del caldo, della pendenza della cresta, dello scioglimento del ghiaccio che faceva muovere le rocce in cresta e dei numerosi ponti di neve che cedevano. Vedevamo quei due alpinisti stravolti con una sana invidia. Loro erano lì in capanna esausti, ma con la certezza di aver portato a termine quello per cui erano lì. Il loro più grande sforzo dopo quella giornata sarebbe stato quello di arrampicarsi sul piano superiore del letto a castello.

il ghiacciaio che avremmo risalito la notte seguente

Suona la sveglia. Ho dormito poco e male continuando a pensare al giorno che ci aspettava. Facciamo colazione rapidamente e attorno alle 00:40 siamo incordati e con i ramponi ai piedi pronti a partire. Siamo tra i primi, davanti a noi solo il signore di Trento di cui ci fidiamo a seguirne le orme per scorgere la traccia nel buio. Poche ore prima, durante la cena, ci ha detto che era stato lì un mese prima e conosceva bene la traccia di salita. Saliamo per circa due ore e venti aggirando grandi crepacci e seraccate. La notte nasconde l’ambiente in cui ti trovi. Questo ti permette di concentrarti sulle tue energie e di camminare a testa bassa come un mulo, ma sfortunatamente il buio nasconde anche delle insidie.
Arriviamo in cima al ghiacciaio sotto il Col de Bionnassay. A questo punto abbiamo oramai raggiunto il trentino. Sale convinto un grande pendio e noi lo seguiamo. Arrivati ai piedi della cresta rocciosa qualcosa non quadra. L’uscita sembra più complicata di quanto dovrebbe essere. Guardo rapidamente il GPS sul telefono e mi accorgo che siamo circa duecento metri più a ovest rispetto al punto di uscita. Dopo un attimo di imprecazioni decidiamo di fare la traversa verso est per raggiungere l’uscita. Il trentino, Diego, ha con sé una corda da cinquanta metri. Mandiamo lui davanti dandogli tre o quattro viti da ghiaccio per proteggere la traversata. Giorgio lo assicura mentre io, ultimo di cordata, faccio una sosta con due viti per assicurare me e Ronnie mentre attendiamo. Finiamo la “benedetta” traversa perdendo mezz’ora di tempo. Le altre cordate ci hanno oramai raggiunto. Appena usciti dal ghiacciaio giungiamo sulla cresta rocciosa. Diego piega la corda e torna libero in solitaria. Dopo circa quindici minuti vediamo che è rimasto indietro di un bel tratto rispetto a noi.
Finalmente sul giusto tratto di salita raggiungiamo le Piton des Italiens 4’002 metri; prima cima sul nostro percorso. Qui la luce comincia a dar forma ai rilievi. Il panorama intorno a noi è magnifico, indescrivibile. L’ambiente si tinge di viola e arancione, classici colori dominanti all’alba. In lontananza si vedono le luci delle pile, che lentamente salgono per la via normale Francese.

Da qui in poi si cammina sulla cresta nevosa. Nella prima parte risulta molto affilata e con un crepaccio a metà, dopodiché comincia ad aumentare la pendenza fino a raggiungere i 45 gradi. Dopo quaranta minuti raggiungiamo la seconda cima, il Dome de Gouter a 4’304 metri. Cominciamo a notare la stanchezza ma quello che abbiamo davanti ai nostri occhi ci dà la forza di procedere!

“Pointe Noire de Pormenaz” vista dal Dôme

Dopo il Dome de Gouter la via si incrocia con la via normale che sale dalla Francia, più precisamente dal rifugio delle Aiguille du Gouter situato a 3’817 metri. La maggior parte delle persone sceglie la via Francese perché risulta molto più breve e con molto meno dislivello. Infatti, con circa quattro ore di salita a buon passo si è sul tetto delle alpi. Da qui in avanti il Bianco sembra un bellissimo pandoro su cui corre una lunga colonna di formiche dirette alla cima.
Sono passate circa sei ore da quando siamo partiti e mancano circa cinquecento metri di dislivello. Anche se abbiamo perso tempo nella parte sotto siamo perfettamente in orario per la cima.
Tra il Dome de Gouter e il Monte Bianco c’è un bivacco d’emergenza costituito da due baracche prefabbricate. La puzza di piscio e il gran numero di gente ci spinge a tirare dritto. Il guardiano del rifugio Gonnella successivamente ci ha fatto vedere le foto dello schifo al suo interno. Fortunatamente non ci siamo entrati né in discesa né in salita.

L’ultima tratta risulta lunga e noiosa, in parte a causa delle persone che si fermano continuamente durante l’ascensione e un po’ per gli scambi da effettuare sulla cresta con le persone che scendono.

Dopo otto ore e cinquanta, alle 09:10 siamo in cima al Monte Bianco, 4’810 metri!

Scendere, in questi casi, risulta più complesso di salire; complici la stanchezza, la neve molle e l’inizio di perdita di concentrazione. Alle 09:50 ci avviamo per la discesa. Anche se sembra essere prestissimo, in realtà siamo appena in orario in quanto la discesa durerà ancora sei orette.
Malgrado tutto il ritorno in capanna risulta veloce e scorrevole. Passiamo senza problemi Les Piton des Italiens e le roccette, come le chiamavano i due romagnoli.
L’unico punto dove perdiamo un po’ di tempo è la calata dalla cresta rocciosa che porta al pendio sommitale del ghiacciaio, dove durante la notte abbiamo sbagliato strada. Facciamo una prima calata di quindici metri superando il piccolo strapiombo. La calata ci porta direttamente sul nevaio, sotto di noi la crepaccia terminale coperta da un ponte di neve. Decidiamo di fare un’altra calata in doppia così da superarla e poterci incordare lunghi per procedere sul fessurato ghiacciaio. Faccio una goccia nel ghiaccio con la piccozza. Posiziono la corda al suo interno e mi calo per primo. Dopo di me mi raggiungo Ronnie e poi Giorgio. Superata la difficoltà ci incordiamo e procediamo verso la capanna.
Scendendo dalle seraccate finalmente riusciamo a dare le proporzioni a dove siamo passati nella notte. Grandi pendii e grossi seracchi ci hanno accompagnato durante la salita.
Alle 15:50 siamo in capanna felici di aver portato a termine l’ascensione. Quasi non ci crediamo, ma per il momento desideriamo solo bere qualcosa, sistemarci, cenare e andarcene a letto.
Circa un’ora e mezza dopo di noi arriva una coppia di Sloveni che mi dicono di aver rischiato la pelle nella zona dove noi abbiamo fatto le doppie. Lei è scivolata trenta metri sopra la crepaccia terminale. Nella caduta ha puntato i ramponi facendo un salto mortale in avanti e fermandosi come una freccetta su un bersaglio. Lui colto dallo strappo è scivolato e dopo qualche metro fortunatamente è riuscito a fermarsi, frenando con la piccozza, evitando di finire nel crepaccio. Mi confida che effettivamente per loro quel giro era troppo impegnativo, anche se effettivamente la cima l’avevano messa in tasca comunque. Verso le 18:00 arriva anche Diego, il trentino che involontariamente ci ha portati fuori strada.
Passo la serata chiacchierando con Ronnie e alle 22:00, finalmente, la nostra giornata si conclude.
Inaspettatamente il giorno seguente, contrariamente alle previsioni, è bello. Durante la discesa prendiamo qualche goccia solo nella parte in fondo al ghiacciaio roccioso. Finalmente verso le 12.30 arrivammo al punto di partenza. Con lo sguardo verso casa, ma con il cuore ancora un po’ in vetta, ci avviammo verso il Ticino, dove termina la nostra bellissima avventura.

Prevenzione sulla neve: serata con la SAT Lucomagno

di Samantha Ghisla – LaRegione, 2 dicembre 2019
Durante certi inverni si fa attendere, mentre quest’anno è caduta copiosa fin dal primo fine settimana di novembre. Al punto che l’allerta valanghe ha raggiunto in breve tempo il grado 4 su 5 per tutto il Sopraceneri. Ma indipendentemente dalla quantità, l’aspetto fondamentale per chiunque voglia praticare attività sulla neve è la prevenzione. È infatti questo il tema su cui si focalizzerà la serata pubblica organizzata dalla Colonna di soccorso della Società alpinistica ticinese (SAT) Lucomagno.
Venerdì 6 dicembre (ore 18.45) il nuovo centro per lo sci nordico di Campra ospiterà la conferenza di un soccorritore della colonna che illustrerà in modo accessibile a tutti gli aspetti fondamentali da tenere presente prima di un’uscita sulla neve.

L’importanza del Bollettino
Alla serata, precisa il Capo colonna Stefano Scapozza, parteciperanno anche i soccorritori della colonna per un aggiornamento su questi argomenti. Ma viene in particolare proposta per avvicinare e sensibilizzare diverse categorie di persone. Come chi pratica sci alpinismo, freeride (sci fuori pista), escursioni con le ciaspole, ma anche chi si sposta utilizzando la motoslitta, che potrebbero sottovalutare i pericoli a cui vanno incontro senza l’adeguata prevenzione.
Tra i temi che verranno affrontati, l’importanza di consultare e ben interpretare il Bollettino dei pericoli naturali e in particolare quello relativo alle valanghe, che riferisce l’eventuale grado di pericolo. Si va dal grado nullo o debole fino a quello molto forte. Il Bollettino, pubblicato due volte al giorno (alle 8 e alle 17) dall’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe (SLF) di Davos è consultabile sul proprio computer e smartphone con l’app White Risk o tramite il sito o l’app di MeteoSvizzera. Dal quarto grado, quello forte, viene ad esempio sconsigliato di uscire sulla neve.

Per partecipare alla serata gratuita è gradita la riservazione tramite formulario online sul sito www.satlucomagno.ch. Dopo la conferenza possibilità di fermarsi a cena fino all’esaurimento dei posti disponibili.

Formulario di iscrizione

Desidero prendere parte alla cena (costo a carico del partecipante)(obbligatorio)


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